I responsabili della Comunità Cristiana devono essere onesti, disinteressati e responsabili, almeno quanto quelli sportivi: «Ma tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni» (1 Timoteo 6,11-12).
San Paolo prende di mira il desiderio della ricchezza e del prestigio, che già allora era alla base di tanti mali, anche nelle comunità cristiane: pensiamo all’episodio di Anania e Saffira riportato negli Atti degli Apostoli (Atti 5,1-11).
Oggi sappiamo bene quanto lo sport rischi di trovarsi implicato in faccende di grandi interessi economici e politici. Riguardo agli atleti talvolta potrà ricorrere a prodotti chimici stimolanti (doping) che spremono questi giovani oltre il consentito pur di conseguire vittorie prestigiose e purtroppo talvolta sono proprio i responsabili ad essere “irresponsabili”, perché guardano ai risultati prima ancora del benessere delle persone.
La preoccupazione di genitori, allenatori, tecnici, fisioterapisti, medici e personale che gira intorno a un atleta dovrebbe essere prima di tutto quella di salvaguardarne la salute psicofisica, non quella del risultato ad ogni costo.
Nell’antichità c’erano regole non scritte di buon comportamento come il ritiro obbligatorio di dieci mesi per atleti e giudici con varie prove, anche per verificare la correttezza delle gare. Questo criterio dovrebbe valere ancor più oggi che ci sono regole scritte e ben dettagliate per atleti e giudici, per evitare che lo sport venga “drogato” per qualsiasi interesse di parte, a danno delle persone e dello stesso sport.
San Paolo si rivolge sia al soldato che all’atleta, scrivendo al suo discepolo Timoteo, ricordando che ognuno nel suo campo dovrà impegnarsi secondo regole stabilite dal proprio buon servizio: «Come un buon soldato di Gesù Cristo, soffri insieme con me. Nessuno quando presta servizio militare, si lascia prendere dalle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato. Anche l’atleta non riceve il premio se non ha lottato secondo le regole» (2 Timoteo 2,3-5).
P. Marcello Lauritano, ssp