San Paolo, oltre ad essere un uomo di grande preghiera, era uomo di azione sia a livello quotidiano («Chi non vuol lavorare, neppure mangi», 2 Tessalonicesi 3,10), sia soprattutto nel campo apostolico e spirituale, dove non teme di presentarsi come esempio per tutti.
Del resto, per continuare il parallelo con gli atleti olimpici e gli sportivi in genere, se nello sport il preparatore atletico o il tecnico si limitasse a dire, sia pur con competenza, quanto bisogna fare per ottenere un certo risultato, senza portare un esempio concreto, senza far vedere come lui farebbe praticamente, il suo lavoro risulterebbe poco incisivo. Un grande campione che porta il proprio esempio ha tutt’altra efficacia. Soprattutto i giovani si identificano in una persona che diventa l’ideale al quale ispirarsi.
Questo ben lo sapeva San Paolo che così si presenta ai suoi cari fedeli di Filippi: «Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo» (Filippesi 3,12-16).
La capacità di Paolo di coinvolgere i suoi fedeli nel cammino, anzi nella corsa, è assolutamente unica, infatti mentre da una parte elogia i Filippesi per tutte le loro capacità e possibilità, dall’altra si mette in gioco lui stesso, nella medesima competizione, in modo da sentirsi e farli sentire solidali e sostenuti nel raggiungimento del risultato finale.
San Paolo sa cogliere la difficoltà di questi nuovi cristiani, come fossero atleti dilettanti da far diventare professionisti, quindi si mette al loro livello per aiutarli nel cammino di perfezionamento progressivo, senza scoraggiamento e senza paura di non riuscire.
È un metodo sicuramente di successo, che sostiene chi è più debole e insicuro, quello di vedere la propria guida correre insieme sullo stesso percorso. Pensiamo ai successi di squadra, quando il risultato è frutto dell’impegno corale di tutti gli atleti di una disciplina, pensiamo alle paralimpiadi, che spesso si basano sulla solidarietà e affiatamento della coppia allenatore-atleta per ottenere un valido risultato d’insieme. Anche i grandi campioni spesso hanno bisogno della presenza fisica o almeno psicologica del loro allenatore per dare il massimo delle loro possibilità. Gli allenatori poi devono conoscere uno per uno singolarmente i propri atleti, “coccolarli” e/o riprenderli, in modi diversi l’uno dall’altro, perché ciascuno si senta capito, sostenuto, valorizzato e talvolta sgridato o consolato.
P. Marcello Lauritano, ssp