Paolo, apostolo di Gesù Cristo
Paolo si definisce “apostolo di Gesù Cristo”.
Il complemento “di Gesù Cristo” ha qualcosa di un determinativo, che specifica l’origine, il radicamento nell’essere apostolo, e il contenuto dell’annuncio.
In altre parole, “apostolo di…” significa “apostolo che appartiene a Cristo”, “apostolo che parla a nome di Cristo” e “apostolo che parla di Cristo”.
Apostolo di…cioè apostolo che appartiene a Cristo.
Paolo parla spesso di sé come δοῦλος (doulos) di Cristo (Romani 1,1; Galati 1,10; Filippesi 1,1 …), che riconosce come il suo unico padrone. Il significato del termine è quello di “schiavo”, anche se normalmente viene tradotto con “servo”. Lo “schiavo” in Oriente era colui che apparteneva totalmente al padrone, senza avere volontà propria. Paolo, definendosi “schiavo”, vuole dire che egli non ha più in se stesso la ragione della propria esistenza, ma vive solo per il Signore che è divenuto il suo “padrone”. Il termine evidenzia la radicale appartenenza a Gesù che si manifesta concretamente in una vita spesa nell’annuncio evangelico. Definendosi “servo-schiavo” di Gesù, Paolo riconosce di essere legato in modo indissolubile a Lui e da questo legame nasce l’esigenza di annunciare la bellezza del volto di Dio Padre, che ama e perdona, che cura e solleva, che accompagna e tiene per mano. E si sente talmente unito a Gesù da affermare: “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Galati 2,20).
Apostolo di…cioè apostolo che parla a nome di Cristo.
Apostolo letteralmente significa inviato. Paolo evangelizza come inviato del Signore Gesù Cristo. L’evangelizzazione è il compito che gli è stato affidato specificatamente. “Cristo mi ha mandato… ad annunciare il Vangelo” (1 Corinzi 1,17). Egli è un amministratore di Cristo: “Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1 Corinzi 4,1). “È un incarico che mi è stato affidato” (1 Corinzi 9,17). “Come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo” (1 Tessalonicesi 2,4). Il fatto di aver ricevuto questo incarico, vuol dire, come scrive ai Corinzi, che “annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Corinzi 9,16).
“Sono stato fatto messaggero e apostolo” (1 Timoteo 2,7); “sono stato costituito messaggero, apostolo e maestro” (2 Timoteo 1,11): il termine che adopera per “messaggero” è κῆρυξ (kéryx), che significa araldo, una persona che fa dei pubblici annunci per conto di un altro.
Paolo si considera ambasciatore di Cristo. Una persona autorizzata a rappresentare il suo sovrano. Ha il dovere e la responsabilità d’interpretare il pensiero del suo capo con fedeltà, presso coloro ai quali è inviato. Paolo adopera quest’immagine due volte e sempre in relazione al suo lavoro d’evangelista. Pregate per me, scriveva dal carcere, “affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare” (Efesini 6,19-20). Dio, egli scriveva ancora, ha affidato “a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2 Corinzi 5,19-20).
Paolo ha la consapevolezza di essere rappresentante di Dio e di Cristo, destinato a parlare nel nome di Dio e di Cristo: parla della grazia che gli è stata “data da Dio per essere ministro di Gesù Cristo tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il Vangelo di Dio […]. Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio” (Romani 15,15-18).
Apostolo di…cioè apostolo che parla di Cristo.
La predicazione di Paolo è tutta incentrata su Gesù e sul suo mistero pasquale. L’Apostolo infatti si presenta come annunciatore di Cristo, e di Cristo crocifisso.
Paolo ricorda ai Corinzi: venni, non per presentarvi le mie idee su un qualche argomento, “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” (1 Corinzi 2,2); era proprio questo che Dio mi aveva mandato a dirvi.
Paolo diffonde la buona novella di Gesù Cristo: “annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo” (Atti 28,31). Nel suo epistolario, il nome menzionato più spesso dopo quello di Dio (più di 500 volte) è quello di Cristo (380 volte). È chiarissimo in lui che il valore fondante e insostituibile è la fede in Cristo: “L’uomo non è giustificato dalle opere della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo” (Galati 2,16).
Paolo sa che gli “è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Efesini 3,8), per la quale “si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita […] Di modo che, come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore” (Romani 5,18-21).
L’universo intero e tutta la vicenda degli uomini trovano in Cristo l’origine, il modello e lo scopo del loro esistere; da Lui dipende il loro permanere nell’esistenza. Egli è “immagine del Dio invisibile” (Colossesi 1,15), “in Lui sono state create tutte le cose” (Colossesi 1,16), “tutte in Lui sussistono” (Colossesi 1,17), “in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Colossesi 2,9); “per mezzo di Lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Colossesi 1,14), “Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Filippesi 2,9); “in Lui siamo stati fatti anche eredi” (Efesini 1,11); ed “è piaciuto a Dio che… per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate tutte le cose” (Colossesi 1,19-20).
Ai Galati, tentati di basare la loro religiosità sull’osservanza di precetti e tradizioni, egli ricorda il centro della salvezza e della fede: la morte e la risurrezione del Signore. Scrive: “Chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!” (Galati 3,1). Molti, infatti, erano alla ricerca di sicurezze religiose, concentrandosi su rituali e precetti piuttosto che abbracciare con tutto se stessi il Dio dell’amore. Per questo Paolo chiede ai Galati di ritornare all’essenziale, a Dio che dà la vita in Cristo crocifisso. Ne dà testimonianza in prima persona: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Galati 2,19-20). E verso la fine della Lettera (6,14), afferma: “Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”.
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