Dopo aver chiarito il riferimento essenziale a San Paolo, don Giacomo Alberione, negli anni successivi, insiste sulla consapevolezza sempre più grande che i suoi figli e figlie devono avere nell’apostolato.
Nel 1941, in Haec meditare (vol. II, 83), don Alberione fa una considerazione sull’apostolato paolino: «Ci sarà chi approverà e chi non approverà, ma voi sapete che il vostro apostolato piace a Dio, vi rende utili alla Chiesa; sapete che a questo ci ha chiamato Dio, e quindi andate avanti con coraggio pensando che: “Chi avrà operato e insegnato, questi sarà chiamato grande nel regno dei Cieli” (Matteo 5,19).Tenete anche presente l’esempio di San Paolo che ha tanto lavorato, tanto sofferto nell’esercizio del suo apostolato (cfr 2 Corinzi 11,23-29), senza mai stancarsi, finché poté dire: “Ho compiuto il mio corso” (2 Timoteo 4,8). Anche voi, se esercitate con fede e con zelo l’apostolato, alla fine della vostra vita potrete poi dire: “Ho compiuto il nobile apostolato che m’era stato affidato: ora aspetto il premio”».
Nel 1946, sul San Paolo (numero di luglio), scrive: «Nelle librerie internazionali teniamo presente: che cosa direbbe al mondo S. Paolo, se venisse oggi? che cosa in particolare direbbe alla nazione in cui sta questa libreria? Procurerebbe ed offrirebbe prima al Clero, e poi al popolo, il meglio delle edizioni della nazione e di tutto il mondo».
Nel 1951, sempre sul San Paolo (numero di febbraio), scrive: «San Paolo concepiva le sue lettere e le dettava, riservandosi di sottoscriverle; buoni cristiani le moltiplicavano, copiandole; buoni cristiani le diffondevano. Egli esercitò il vero apostolato delle edizioni».
Nel 1952, in Spiritualità paolina (n. 372), evidenzia l’importanza della preghiera rivolta all’Apostolo: «La coroncina a san Paolo fu composta nei primi anni dell’Istituto [Società San Paolo], quando le vocazioni erano ancora pochissime. Fu preparata con l’intento di ottenere vocazioni e si mostrò efficacissima. Negli anni seguenti vi fu un tale numero di domande per l’ammissione che fece meravigliare. E ancora adesso qualcuno dei primi Sacerdoti che assistette a quel fatto si domanda incerto: come si spiega il fenomeno avvenuto negli anni 1923-24? Con la coroncina a san Paolo».
In un altro passo (Spiritualità paolina, n. 375), aggiunge: «Molte volte san Paolo è considerato soltanto nella sua grande attività apostolica; ma questa partiva dal cuore, dal suo grande amore a Gesù Cristo, al Vangelo, alle anime. Si comprende allora come abbia potuto farsi tutto a tutti; come abbia vissuto il grido: charitas Christi urget nos; come abbia sentito in sé i bisogni e le gioie di tutti. Il limite del suo zelo fu soltanto il limite delle sue forze e della sua vita. Quando gli vennero meno le forze e la sua esistenza stava per chiudersi, offerse ancora la vita per la salvezza del mondo e compì il più grande apostolato, quello della sofferenza e del martirio. Amiamo noi le anime? Comprendiamo la missione paolina?».
Nel 1953, don Alberione, in Anima e corpo per il Vangelo, riprende il tema del legame tra la Famiglia Paolina e San Paolo: «[La Famiglia Paolina] si propone di rappresentare e vivere san Paolo, oggi, pensando, zelando, pregando e santificandosi come farebbe San Paolo, se, oggi, vivesse. Egli visse i due precetti dell’amore verso Dio e verso il prossimo in una maniera così perfetta da mostrare in sé il Cristo stesso: “Cristo vive in me” (Galati 2,20).Egli si è fatta la Società San Paolo di cui è il fondatore. Non la Società San Paolo elesse lui, ma egli elesse noi; anzi ci generò: “sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo” (1Corinzi 4,15).
Se san Paolo vivesse, continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio, lo zelo per Dio ed il suo Cristo (cfr 2 Corinzi 5,14), e per gli uomini d’ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati (cfr Filippesi 1,18) e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale: stampa, cine, radio, televisione. Non sarebbe, la sua dottrina, fredda ed astratta. Quando egli arrivava, non compariva per una conferenza occasionale: ma si fermava (cfr Atti 19,10) e formava: ottenere il consenso dell’intelletto, persuadere, convertire, unire a Cristo, avviare ad una vita pienamente cristiana (cfr Atti 19,20).
Non partiva che quando vi era la morale certezza della perseveranza dei suoi. Lasciava dei presbiteri a continuare la sua opera; vi ritornava spesso (cfr 1 Corinzi 16,5-6) con la parola e con lo scritto (cfr Romani 15,22, Atti 20,17); voleva notizie, stava con loro in spirito, pregava per essi (cfr Efesini 1,16).
Egli dice ai paolini: Conoscete, amate, seguite il Divino Maestro Gesù. “Siate miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1 Corinzi 11,1). Questo invito è generale, per tutti i fedeli e devoti suoi. Per noi vi è di più, giacché siamo figli. I figli hanno la vita dal padre; vivere perciò in lui, da lui, per lui, per vivere Gesù Cristo. Sono per noi appropriate le parole ai suoi figli di Tessalonica, ai quali ricorda di essersi fatto per loro forma: “per darvi noi stessi come esempio da imitare” (2 Tessalonicesi 3,9). Gesù Cristo è il perfetto originale; Paolo fu fatto e si fece per noi forma; onde in lui veniamo forgiati, per riprodurre Gesù Cristo. San Paolo-forma non lo è per una riproduzione fisica di sembianze corporali, ma per comunicarci al massimo la sua personalità: mentalità, virtù, zelo, pietà… tutto. La famiglia paolina, composta di molti membri, sia Paolo-vivente in un corpo sociale.
Conoscere e meditare San Paolo nella vita, opere, lettere; onde pensare, ragionare, parlare, operare secondo lui; e invocare la sua paterna assistenza».
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