Un giovane si avvicina a Gesù e gli chiede che cosa deve fare per raggiungere il bene assoluto (Matteo 19,16-22; Marco 10,17-27). Gesù gli risponde di osservare i comandamenti. Ma quali? Gesù li elenca, iniziando da “Non uccidere”.
In un’altra occasione, Gesù, parlando e insegnando ai suoi discepoli, aveva affermato: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geenna» (Matteo 5,21-22). Gesù non intende contrapporre il suo insegnamento alla Parola di Dio, ma mostrare le radici del male: omicida non è solo chi toglie materialmente la vita di un altro, ma anche chi porta rancore, dà sfogo all’ira, o usa parole offensive verso altre persone, da riconoscere invece come fratelli. L’ira è il movimento contro un altro che suppongo sia contro di me. Ma anche dire “stupido”, e qui è necessario recuperare il significato del corrispondente termine ebraico “raqa”: stupido è il disprezzo, l’annientamento. Per uccidere bisogna prima disprezzare. Il resto è conseguenza. Ugualmente dire “pazzo”: dall’ebraico “morè”, pazzo va inteso in senso religioso; l’avversario è sempre personificazione del male, quindi da eliminare. Il fare del male a una persona non avviene solo con la sua soppressione fisica. Anche la parola, che per l’ebreo è un dabar, cioè parola ma anche azione che produce i suoi effetti, e se è negativa i suoi effetti possono essere devastanti. Per far comprendere la gravità di una parola diretta contro l’altro, Gesù la abbina a vari gradi di giudizio, sino alla condanna al fuoco della Geenna, cioè finire nell’immondezzaio di Gerusalemme, dove il fuoco era sempre acceso: una vita, dunque, annientata. Escludere qualcuno dalla propria vita, infatti, è escludersi dalla vita di Dio.
Per Gesù, il comandamento “non uccidere”, in tutta la sua estensione, è talmente importante che addirittura lo vincola alla possibilità della vera preghiera: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Matteo 5,23-24).
Gesù si sbilancia ancora di più. E propone dei casi di violenza subita, indicando come rispondere, e l’atteggiamento da avere verso l’aggressore. «Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle» (Matteo 5,39-42; cfr Luca 6,27-30). Gesù non predica rassegnazione, non chiede di lasciare che l’ingiustizia trionfi, ma chiede un atteggiamento creativo: si tratta di “vincere il male con il bene” (cfr Romani 12,21). Rispondere al male facendo il bene. Se, alla violenza si risponde con altra violenza, questa aumenta di intensità e genererà altra violenza.
Il discorso di Gesù raggiunge il suo vertice nell’amore per il nemico: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti… Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Matteo 5,43-45.48; cfr Luca 6,35). Parole che sembrano trascendere le nostre capacità umane. Eppure questa è per Gesù nient’altro che l’interpretazione del comandamento: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Ovvero, lo amerai sempre, in ogni situazione, anche quando ti è nemico, anche quando ti fa del male; anzi, simultaneamente all’offesa ricevuta, continuerai ad amare di un amore che si spinge fino a pregare, a chiedere a Dio il bene per il persecutore.
Ma come sarà possibile tutto questo? Gesù parte dall’agire di Dio che a tutti, buoni e malvagi, distribuisce i suoi doni. E nessuno può sentirsi escluso dall’amore di Dio. «Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1 Giovanni 4,11). La frase sembrerebbe non coerente. Sarebbe logico dire: “Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarlo”. Invece, come conclusione, non abbiamo la parola “Dio”, ma “gli uni gli altri”. La verifica della nostra relazione con Dio è nella relazione d’amore che abbiamo con gli altri.
«In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta», racconta l’evangelista Giovanni (1,4-5). La vita, dunque, non la morte, è la natura di Dio e la sua vita diventa “luce degli uomini”. Gesù afferma: «Io sono la luce del mondo» (Giovanni 8,12), ma anche: «Voi siete la luce del mondo» (Matteo 5,14). Rimanendo nella luce ed essendo luce, le tenebre inevitabilmente si diradano. La luce non combatte contro le tenebre; se c’è la luce, le tenebre si dissolvono. Senza questa prospettiva di fondo, le tenebre avranno il sopravvento, e dal cuore dell’uomo verranno maldicenza, avversione, conflitto, omicidio.
Papa Francesco, nell’udienza del mercoledì, 17 ottobre 2018, si esprime così: «L’Apostolo Giovanni scriverà: “Chiunque odia il proprio fratello è omicida” (1 Giovanni 3,15). Ma Gesù non si ferma a questo, e nella stessa logica aggiunge che anche l’insulto e il disprezzo possono uccidere. E noi siamo abituati a insultare, è vero. E ci viene un insulto come se fosse un respiro. E Gesù ci dice: “Fermati, perché l’insulto fa male, uccide”. Il disprezzo. “Ma io… questa gente, questo lo disprezzo”. E questa è una forma per uccidere la dignità di una persona. […] Gesù ci dice: “Guarda, se tu disprezzi, se tu insulti, se tu odi, questo è omicidio”. […] Pensiamo alla gravità dell’insulto, del disprezzo, dell’odio: Gesù li mette sulla linea dell’uccisione. […] Per annientare un uomo basta ignorarlo. L’indifferenza uccide. È come dire all’altra persona: “Tu sei un morto per me”, perché tu l’hai ucciso nel tuo cuore. Non amare è il primo passo per uccidere; e non uccidere è il primo passo per amare».
Walter Lobina
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