Pregare dacci oggi il nostro pane quotidiano viene inteso, normalmente, come una richiesta a Dio perché possiamo avere il necessario per vivere. Smettere di mangiare diventa segno di depressione o di prossimità alla morte. Un esempio interessante è quello che è capitato al profeta Elia (1 Re 19,1-8). Minacciato di morte dalla regina Gezabele, scoraggiato e deluso si inoltra nel deserto, desideroso di morire. Ma ecco che Dio interviene. Gli prepara una focaccia e un orcio d’acqua. «L’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: “Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb”». Dove lo incontra.
Oggi, in parte, si sono persi il significato e l’importanza del pane: in un tempo di sovrabbondanza di cibo, spesso neanche ci accorgiamo della sua presenza nella tavola. Eppure il pane non è solo un cibo per sfamarsi. Porta infatti con sé una ricca simbologia.
Nel passato, l’uso del pane, a tavola, era come un rito. Stava al centro della tavola, si tagliava la parte che serviva, e si stava attenti a non sprecarlo. E se, per caso, un pezzo di pane cadeva a terra, si aveva la premura di raccoglierlo e di baciarlo, prima di rimetterlo al suo posto.
Partecipare allo stesso pane, comunque, per i commensali a tavola, non è solo un fatto di nutrimento. È segno di comunione, di fraternità, di condivisione: di cibo, ma anche dell’amicizia, dei nostri discorsi, delle nostre pene e delle nostre gioie.
Il pane è anche segno dell’ospitalità. L’offrire qualcosa è segno dell’accoglienza e del gradimento dello stare insieme. Il pane, poi, inteso genericamente come cibo, ci parla della festa. Non ci può essere una festa se non viene offerto qualcosa da mangiare. È il legame di comunione tra i partecipanti.
Il pane, dunque, non indica solo ciò che è necessario per vivere. Possiamo anche chiamarlo dignità, famiglia, lavoro, benessere, perdono. In particolare, abbiamo bisogno che non manchi mai il pane dell’amore ricevuto e donato.
Dicendo Dacci oggi il nostro pane quotidiano, preghiamo Dio perché non ci manchi questo pane necessario. Tuttavia, nel contesto di benessere come è quello occidentale, rischiamo di non sentire l’urgenza di questa invocazione. Sappiamo che in qualche parte del mondo soffrono la fame, e anche qualcuno nelle nostre città. È necessario dunque cogliere le implicanze di questa invocazione.
Al giovane ricco Gesù dice: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Marco 10,21). Per seguire Gesù, diventa necessario occuparci dei poveri. In pratica, rendere efficace quel “nostro” relativo al pane. Questa invocazione sarà sincera solo se ci occupiamo di chi ha fame, dei poveri. E diventa la richiesta perché la nostra società cambi, riscoprendo la fraternità.
[“Voi dunque pregate così: Padre nostro”, 27 – continua]
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