“Ecco l’Agnello di Dio” (Giovanni 1,29)
Giovanni Battista si trova sulla riva del fiume Giordano dove predica un battesimo di penitenza per prepararsi a incontrare il Messia. Le folle accorrono e si fanno battezzare. Anche Gesù si è voluto mettere in fila, tra la gente, per condividere i passi di quella umanità in cerca di Dio. Il giorno dopo, ecco cosa riporta il Vangelo: “Il giorno dopo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (Giovanni 1,29). Il testo greco dà la possibilità di ulteriori significati: Τῇ ἐπαύριον βλέπει τὸν Ἰησοῦν ἐρχόμενον πρὸς αὐτόν, καὶ λέγει· Ἴδε ὁ ἀμνὸς τοῦ θεοῦ ὁ αἴρων τὴν ἁμαρτίαν τοῦ κόσμου.
Giovanni “vede” Gesù. Il verbo usato, βλέπει (blépei), indica un vedere concreto, fisico: vede Gesù che viene. Il participio presente ἐρχόμενον (erkómenon), “il Veniente”, nel linguaggio biblico neotestamentario indica il messia atteso, ma anche il suo continuo venire in mezzo agli uomini, il suo continuo andare verso di loro. E verso di noi, oggi.
Gesù, dunque, è colto nel suo “venire verso”. E Giovanni lo accoglie, dichiarando: “Ecco l’agnello di Dio”.
La testimonianza del Battista su Gesù si apre con il termine Ἴδε (ide, Ecco). Per noi, un avverbio, per richiamare l’attenzione su qualcuno o qualcosa. In realtà è l’imperativo presente, seconda persona singolare, del verbo ὁράω (oráo, vedo). La forma Ἴδε sostituisce talvolta l’avverbio ἰδού (ecco). L’evangelista Giovanni lo preferisce, 15 volte Ἴδε contro 4 volte di ἰδού, lasciando intendere un’importanza particolare.
La traduzione corretta, pertanto, sarebbe “Vedi”, un’esortazione ad accedere a una visione e a una comprensione che va oltre la fisicità delle cose. Il verbo ὁράω è il verbo proprio della fede e si contrappone al βλέπω con cui il Battista si relaziona a Gesù: il Battista vede (βλέπει) Gesù venire verso di lui e dice alla gente: “Vedi (Ἴδε) l’Agnello di Dio”. Per comprendere la vera natura e la vera identità di Gesù, quale “agnello di Dio”, il βλέπει deve trasformarsi in Ἴδε, che indica una vista interiore, di fede.
Vedere, guardare “l’agnello di Dio”. L’espressione “agnello di Dio” è particolare e ricorre in tutta la Bibbia soltanto due volte, qui in Giovanni 1,29, rivolta a un pubblico anonimo di ascoltatori, e in Giovanni 1,36, rivolta a due discepoli del Battista.
Giovanni Battista identifica in Gesù l’agnello di Dio. L’agnello è tipico del mondo pastorale, ma diventa segno di libertà nella celebrazione della pasqua ebraica (Esodo 12).
In origine si trattava di un antico rituale della transumanza dei nomadi che a primavera con il loro gregge trasmigravano verso i nuovi pascoli. L’agnello doveva essere immolato senza infrangerne le ossa perché fosse di auspicio: Dio lo avrebbe ridonato nei futuri parti del gregge; doveva essere consumato dal clan familiare in piedi e con le vesti cinte, come persone pronte per la partenza; e il suo sangue doveva essere versato sui paletti delle tende per allontanare gli spiriti maligni.
Nella Bibbia, questo rito naturistico primaverile diventa la memoria di un evento storico: l’esodo dall’Egitto verso la terra promessa, il “passaggio” dall’oppressione alla libertà. Mosè, nella notte della Pasqua, comanda ad ogni famiglia di mangiare un agnello: la carne dell’animale avrebbe dato la forza per compiere il cammino verso la liberazione; il suo sangue doveva servire per bagnare gli stipiti della loro capanna, e avrebbe salvato gli ebrei della morte che l’angelo distruttore quella notte avrebbe portato su tutto l’Egitto.
Giovanni vede in Gesù l’agnello pasquale. Sono numerosi i riferimenti: la morte di Gesù sarà nell’ora stessa in cui nel tempio venivano sacrificati gli agnelli per la Pasqua; a Gesù non sarà spezzato alcun osso (Giovanni 19,36), come era stato stabilito per l’agnello pasquale; e, soprattutto in riferimento alla morte di Gesù, si parlerà dell’issopo che era il ramoscello con il quale bisognava aspergere il sangue dell’agnello sull’architrave della porta e che viene usato, nella crocifissione di Gesù, per porgergli una spugna imbevuta di aceto (Giovanni 19,29).
Gesù l’agnello pasquale la cui carne darà la capacità e la forza di iniziare il cammino verso la libertà, la liberazione e l’esodo, e il sangue salverà dalla morte definitiva. Nel Nuovo Testamento, oltre la morte fisica, che riguarda tutti, si parla anche di una seconda morte, che sarebbe la separazione da Dio: Gesù libera da questa.
Questo agnello, poi, è “di Dio”. Ci troviamo di fronte a un complemento di specificazione. È l’Agnello che ha origine divina; è l’Agnello che appartiene a Dio, ed è l’Agnello che è inviato da Dio.Giovanni ricorda questo momento in 3,16: “Così, infatti, Dio amò il mondo, che diede il Figlio, l’Unigenito, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna”. Il Figlio, dunque, è il dono di amore del Padre, offerto all’uomo e consumatosi a suo favore.
Il termine Unigenito ci porta a una digressione sulla etimologia del termine ebraico bekor, “primogenito, unigenito”. La lettera iniziale bet, graficamente, significa “dentro”, “casa”, “famiglia/casata”; mentre il termine kar indica l’angello/ariete. Di conseguenza, il bekor, il “primogenito”, è il kar (l’agnello – l’ariete) della casa, l’elemento di punta, quello che dovrà portare avanti nel futuro la famiglia, la casata, con la speranza di una discendenza numerosa. Dire, perciò, che Gesù è l’agnello/ariete di Dio, implica che è il suo bekor, l’Unigenito, quindi, Figlio di Dio, e primogenito tra molti fratelli come poi dirà San Paolo in Romani 8,29.
Qual è la funzione dell’Agnello di Dio? Secondo Giovanni, l’Agnello di Dio è “colui che toglie il peccato del mondo”.
Nella liturgia, prima della comunione diciamo: “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo”. La frase è presa da qui, ma è stata trasformata ideologicamente: “che togli i peccati del mondo”, con l’idea di Gesù che è morto per i peccati degli uomini. E riappare la visione del Servo di IHWH su cui profetizzò il profeta Isaia; il servo del Signore, che porta, cioè carica su di sé, i peccati degli uomini: “si è addossato i nostri dolori […] era come agnello condotto al macello […] egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli” (Isaia 53,4.7.12).
Nella indicazione che dà il Battista, Gesù non è indicato come la vittima che viene ad espiare i peccati degli uomini. Il verbo usato non è φέρει (férei), come in Isaia 53,4, che indica il “caricarsi” di qualcosa, “espiare”. Adopera invece il termine ὁ αἴρων (o airon, da αἴρω), e viene usato solo qui: significa togliere, eliminare, portare via, ma anche sollevare, alzare, prendere sopra di sé. Considerato l’uso specifico, l’evangelista, riportando le parole del Battista, e non recuperando il termine usato da Isaia, vuole proprio intendere “colui che toglie”. Cosa deve togliere? Τὴν ἁμαρτίαν τοῦ κόσμου (ten amartían tu kosmu), il peccato del mondo. L’articolo determinativo e la parola sono al singolare: non togliere i peccati degli uomini, che avrebbe potuto dare l’idea di un senso espiatorio da parte di Gesù, ma il peccato (al singolare) del mondo.
L’uso del singolare “peccato” anziché “peccati”, preceduto dall’articolo determinativo “il” (τὴν ἁμαρτίαν), lascia intendere che si tratti di un peccato particolare. Di quale colpa si tratta? Ci vengono in soccorso i vv.1,5.10.11 del Prologo: “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. […] Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. […] Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Il peccato, la colpa, dunque, consiste in un atteggiamento di preclusione, di rifiuto dell’uomo nei confronti dell’amore di Dio, rivelato in Gesù. Questo peccato, nel vangelo di Giovanni, viene raffigurato sotto l’immagine delle tenebre: è il rifiuto alla pienezza di vita che Dio vuole comunicare agli uomini.
L’agnello di Dio, il Gesù che ci viene offerto, toglie – non espia, non si carica, ma toglie, cioè elimina – il peccato che è nel mondo. È la luce che elimina le tenebre. La luce non combatte le tenebre, non si fa carico delle tenebre: nel momento in cui appare, le tenebre si dissolvono.