La tecnoscienza promette oggi il potenziamento, e quindi la trasformazione, dell’uomo e della società, nei più svariati ambiti: da quello culturale a quello scientifico, da quello economico a quello politico. Ne parla, in un interessante articolo su Vita Pastorale di gennaio, Stefano Zamagni, professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna.
“Il fine – scrive – non è solamente il potenziamento della mente, e neppure solamente l’aumento della capacità diagnostica e terapeutica nei confronti di tutta una gamma di patologie, e neppure ancora il miglioramento dei modi di controllo e manipolazione delle informazioni. Ciò verso cui si vuole tendere è l’artificializzazione dell’uomo e, al tempo stesso, l’antropomorfizzazione della macchina”.
Di qui l’importanza di un dibattito sulla Intelligenza Artificiale. “Sono le smart machines agenti morali, responsabili oppure no? Saranno gli algoritmi a governarci in tutti quei casi in cui le persone non sono in grado di prendere decisioni? Dai robot di terza generazione applicati al reclutamento del personale nelle aziende, alla diagnostica medica, dai social network ai voli aerei, dai big data ai motori di ricerca: ci affidiamo sempre più a complesse procedure cui deleghiamo, di fatto, l’esecuzione di operazioni che noi esseri umani, da soli, non sapremmo eseguire. Eppure, se un programma algoritmo commette un errore non ne paga le conseguenze”.
“Cosa succede se ci fidiamo delle previsioni degli algoritmi predittivi, cui affidiamo sempre maggiori responsabilità? È vero che le nuove macchine sono in grado di apprendere continuamente dalla realtà, modificando i propri comportamenti (machine learning). Ma l’algoritmo è ‘allenato’ su dati storici che quasi mai riflettono la situazione corrente, col rischio di generare distorsioni e/o discriminazioni. È così che si diventa ostaggi di profezie che si autoavverano, limitando la nostra libertà di azione. Ma v’è di più. Si tende oggi a dimenticare che la più parte dei sistemi di IA sono proprietà di aziende private che vogliono farci credere e, quindi, farci fare cose nel loro esclusivo interesse”.
Il termine che descrive questo mondo futuro in cui avremo una continua ibridazione dell’umano è “transumanesimo”. “Il transumanesimo – continua il professor Zamagni – si propone l’alterazione della condizione umana attraverso la ragione e la tecnologia, per aiutare l’umanità a entrare in una fase caratterizzata non più dalla selezione naturale, ma dalla selezione intenzionale… si tratta di passare dall’homo sapiens all’homo technologicus: la machina loquens si va umanizzando, e l’uomo si va macchinizzando sempre più”.
“Una delle ultime conquiste dell’IA sono i modelli linguistici di notevoli dimensioni (large language models), che possono scrivere testi o dipingere quadri sulla base dei dati sollecitati da una persona. I risultati sono sbalorditivi. Ma possiamo fidarci di una IA super efficiente nell’imitazione, ma che non sa chiedersi il perché di ciò che fa?”.
Conclude che “è urgente lanciare un progetto neo-umanista che ponga al centro la persona”. Con un interrogativo rivolto alla teologia cattolica: “Di fronte a questo scenario la teologia cattolica che cos’ha da dire? In tutta onestà, non possiamo non riconoscere un preoccupante ritardo nell’elaborazione di un progetto neo-umanista capace di porsi come alternativa credibile all’avanzamento del transumanesimo (e del post-umano). È allora giunto il tempo di mettersi a pensare seriamente, come sempre la Chiesa ha saputo e voluto fare”.
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