GMG 2023: ciascuno di noi è un dono
GMG 2023, Lisbona, 4 agosto. Nel Centro Paroquial de Serafina, Papa Francesco incontra i rappresentanti di alcuni centri di assistenza e di carità. Il messaggio che rivolge riguarda, in realtà, ogni persona. «La carità è l’origine e la meta del cammino cristiano, e la vostra presenza, realtà concreta di “amore in azione”, ci aiuta a non dimenticare la rotta, il senso di quello che stiamo facendo sempre».
Il Papa sottolinea tre aspetti.
Il primo è fare il bene insieme. «“Insieme” è la parola chiave… Vivere, aiutare e amare insieme: giovani e adulti, sani e malati, insieme… non dobbiamo lasciarci “definire” dalla malattia o dai problemi, perché noi non siamo una malattia, non siamo un problema: ciascuno di noi è un regalo, è un dono, un dono unico, con i suoi limiti, ma un dono, un dono prezioso e sacro per Dio, per la comunità cristiana e per la comunità umana».
Il secondo aspetto è agire concretamente. «La Chiesa non è un museo di archeologia. Alcuni la pensano così, ma non lo è. È l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi come a quelle future. La fontana serve per placare la sete delle persone che arrivano, con il peso del viaggio o della vita e sono concretezza. Concretezza, dunque, attenzione al “qui e ora”, con cura dei particolari e senso pratico. Quando non si perde tempo a lamentarsi della realtà, ma ci si preoccupa di andare incontro ai bisogni concreti, con gioia e fiducia nella Provvidenza, accadono cose meravigliose».
Il Papa va oltre il testo scritto e, a braccio, aggiunge alcune idee sulla concretezza. «Non esiste amore astratto, non esiste. L’amore platonico sta in orbita, non sta nella realtà. L’amore concreto, quello che si sporca le mani. Ognuno di noi può chiedere: l’amore che io sento per tutti quelli che stanno qui, quello che sento per gli altri, è concreto o astratto? … Cerco sempre la vita “distillata”, quella che esiste nella mia fantasia, ma non esiste nella realtà? Quante vite distillate, inutili, che passano senza lasciare un’impronta, perché quelle vite non hanno peso!».
Inevitabile il riferimento a quanti operano nell’assistenza e nella carità. «Qui abbiamo una realtà che lascia un’impronta… un’impronta che è d’ispirazione per gli altri… Perché anche questo è gioventù, nel senso che voi generate vita nuova continuamente. Con la vostra condotta, con il vostro impegno, con il vostro sporcarvi le mani per toccare la realtà della miseria degli altri, state generando ispirazione, state generando vita».
Il terzo aspetto è stare vicini ai più fragili. «Tutti siamo fragili e bisognosi, ma lo sguardo di compassione del Vangelo ci porta a vedere le necessità di chi ha più bisogno. E a servire i poveri, i prediletti di Dio che si è fatto povero per noi (cfr 2 Corinzi 8,9): gli esclusi, gli emarginati, gli scartati, i piccoli, gli indifesi. Sono loro il tesoro della Chiesa, sono i preferiti di Dio! E, tra di loro, ricordiamoci di non fare differenze. Per un cristiano, infatti, non ci sono preferenze di fronte a chi bussa bisognoso alla porta: connazionali o stranieri, appartenenti a un gruppo o ad un altro, giovani o anziani, simpatici o antipatici…».
E, come esempio di carità, Papa Francesco racconta la storia di Giovanni Ciudad che, sognando una vita avventurosa, parte in cerca della felicità. Dopo tante avventure, incontra Gesù. La scoperta gli cambia la vita, tanto che decide di cambiare il proprio nome: non più Giovanni Ciudad, ma Giovanni di Dio.
Dice il Papa: «E fece una cosa ardita: andò in città e si mise a chiedere l’elemosina per strada, dicendo alla gente: “Fate del bene, fratelli, a voi stessi!”. Capite? Chiedeva la carità, ma diceva a quelli che gliela facevano che, aiutando lui, in realtà aiutavano prima di tutto sé stessi! Spiegava, cioè, che i gesti d’amore sono un dono anzitutto per chi li fa, prima ancora che per chi li riceve; perché tutto quello che si accaparra per sé andrà perso, mentre quello che si dona per amore non andrà mai sprecato, ma sarà il nostro tesoro in cielo…
Se vogliamo essere davvero felici, impariamo a trasformare tutto in amore, offrendo agli altri il nostro lavoro e il nostro tempo, dicendo parole e compiendo gesti buoni, anche con un sorriso, con un abbraccio, con l’ascolto, con lo sguardo».
Ma la storia di Giovanni di Dio non è conclusa. La gente, vedendo come si comportava, lo ritiene matto, e viene rinchiuso in un manicomio. Qui, aggiunge Papa Francesco, «arrivò l’ispirazione di Dio. Giovanni si rese conto di quanto i malati avessero bisogno di aiuto e, quando finalmente lo lasciarono uscire, dopo alcuni mesi, cominciò a prendersi cura di loro con altri compagni, fondando un ordine religioso: i Fratelli Ospedalieri. Alcuni, però, cominciarono a chiamarli in un altro modo, proprio con le parole di quel giovane che diceva a tutti: “Fate-del-bene-fratelli”! A Roma noi li chiamiamo così: i “Fatebenefratelli”. Che bel nome, che insegnamento importante! Aiutare gli altri è un dono per sé e fa bene a tutti. Sì, amare è un dono per tutti!».