Consolate, consolate il mio popolo è il tema della 34.a Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei del 17 gennaio 2023. La ricorrenza si situa immediatamente prima della tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), per esprimere che è necessario ritrovare le nostre comune radici prima di cominciare a cercare l’unità. Lo scopo della Giornata è quello di sensibilizzare i cristiani al dialogo e alla conoscenza della tradizione ebraica, radice santa della nostra fede. Punto d’incontro, quest’anno, è la citazione del profeta Isaia. Due i messaggi.
Quello della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo mette in evidenza la fedeltà di Dio alle sue promesse e il suo amore incondizionato per ogni persona. Di seguito alcuni brani.
«Il passo del profeta Isaia, scelto quest’anno come nucleo ispiratore per la giornata del 17 gennaio (Isaia 40,1-11), è un annuncio di consolazione per il popolo, chiamato a stare saldo nella fiducia che il suo Signore non lo abbandonerà: “Nahamù na-hamù ‘ammì”, “Consolate, consolate il mio popolo” (Isaia 40,1). Possiamo avere fiducia nel futuro perché la Parola di Dio ci garantisce che Egli è fedele. Fondati in Lui, troviamo la forza per dar credito alla vita ed essere fiduciosi, perché ci sentiamo preceduti e “superati” dalla Sua azione. Dio, infatti, opera oltre le nostre stesse attese.
Il testo di Isaia non tace il rischio della rassegnazione e della perplessità. […] Questi anni di pandemia, il dramma della guerra, la crisi energetica, ecologica ed economica […] Ci hanno fatto toccare con mano la nostra debolezza e ci hanno messo di fronte all’incostanza nel rispondere alla Parola di speranza che Dio rivolge alla vita.
Ma Isaia ci invita a guardare oltre, per scorgere la saldezza di qualcosa di incrollabile: la Sua Promessa. […] Il profeta ammette che certamente l’uomo è come l’erba, «ma la parola del nostro Dio dura per sempre» (Isaia 40,8). […] Egli costantemente ci ripete: «tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Isaia 43,4)».
Il messaggio della Consiglio dell’Assemblea Rabbinica Italiana sottolinea alcuni aspetti della consolazione offerta da Dio. Di seguito alcuni brani.
«Il midrash coglie nell’invito profetico a consolare Israele una sorta di diretto coinvolgimento divino in questa iniziativa, quasi espressione di una partecipazione da parte dell’Eterno della condizione di sofferenza del Suo popolo, dice infatti il midrash che il Signore in un primo tempo affida a dei messaggeri il compito di consolare Israele, per tale compito si rivolge quindi ai patriarchi, ad Abramo, Isacco e Giacobbe, poi a Mosè, ma il popolo non trova conforto fino a quando è Dio stesso che interviene direttamente per consolarli manifestando che – in un certo senso – era stato con loro nella sofferenza. (Yalkùt Shim’onì).
La consolazione del popolo ebraico di cui parla il profeta non è tuttavia un elemento che riguardi esclusivamente il legame tra l’Eterno e Israele, c’è una più ampia necessità di riconciliazione che può essere colta […] nell’invito a porgere conforto, rivolto indistintamente a chi si mette in ascolto della parola del profeta, quasi il Signore intenda invitare i popoli, il mondo intero a confortare il Suo popolo.
Con un’altra prospettiva il midràsh approfondisce il senso consolatorio di questo messaggio richiamandosi ad alcuni episodi biblici nei quali ritroviamo questa intensa condivisione di sentimenti e di emozioni.
L’interpretazione rabbinica ci ricorda quanto narrato nel libro di Ruth, a proposito del notabile della tribù di Yehudà, Boaz, che si prese cura e diede conforto alla giovane Ruth […]: “Se Boaz – dice il midràsh – riuscì a consolare Ruth rivolgendo dolci parole di conforto al suo cuore, tanto più il Santo, benedetto Egli sia, saprà consolare Gerusalemme” (Pesiktà de-Rav Kahanà, 16).
Con analoga prospettiva, un altro midràsh richiama le parole di conforto che Giuseppe rivolge ai fratelli […] “Se Giuseppe – dice il midràsh – trovò le parole per confortare i fratelli, a maggior ragione il Santo, benedetto Egli sia, saprà consolare Gerusalemme” (Bereshit Rabbà, 109).
In un certo senso questi insegnamenti del midràsh, mettendo a confronto la compassione che viene dal Signore con il conforto che gli uomini possono darsi l’un l’altro, ci ricordano che il sostegno che attendiamo dal Signore, nel tempo della sofferenza, giunge più sollecito ed intenso quando trova gli uomini già disposti per gesti e parole che aprono vicendevolmente i loro cuori. […]
L’uomo è come l’erba che si secca, mentre lo spirito del Signore permane per sempre. La speranza di forza e di sostegno per l’uomo è da riporre unicamente nel Signore, Egli può venirci incontro ma tocca all’uomo spianare la strada.
Sono messaggi che ci parlano intensamente anche nel tempo presente. In questi ultimi anni sono successe tante cose negative e non ne siamo ancora venuti fuori. Il passo profetico indica una strada, una direzione, una consolazione, purché l’essere umano sappia mettersi in ascolto della voce del Signore e con tale guida comprenda quale è il suo ruolo e il suo compito».
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