Il voto di Obbedienza
Bisogna “avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto” (don Lorenzo Milani).
L’idea di obbedienza non gode più di buona fama, anche se fa comodo a chi ha il potere. Fa venire in mente sottomissione, oppressione, asservimento, annullamento delle proprie idee o della personalità. Viviamo in un’epoca, almeno in occidente, in cui sono stati abbattuti i regimi totalitari, le società di tipo patriarcale, e viene esaltata l’individualità e la corresponsabilità.
Troppe le dimostrazioni dei pericoli derivanti dall’obbedienza: l’inquisizione cristiana, l’olocausto, i ghetti per i neri, gli stupri di massa di donne da parte dei militari, il terrorismo scatenato dal fanatismo religioso… Persone obbedienti hanno fatto del male incalcolabile, e sempre per obbedienza. Un esempio per tutti: nessuno dei gerarchi nazisti si sentiva colpevole; tutti sostenevano di aver obbedito a ordini superiori. Si è sacralizzata la gerarchia e si sono spacciate per volontà di Dio le proprie opinioni, imponendole nel nome di una infallibilità legata al ruolo.
L’obbedienza nella Bibbia è collegata con l’ascolto della parola di Dio. Ha come fulcro il comando “Ascolta Israele” (Deuteronomio 6,4-9). Ma è prima di tutto atteggiamento filiale: “Ascolta, figlio…” (Proverbi 1,8), nella certezza che il padre ha solo cose buone da dire e da dare al figlio. L’ascolto è in funzione dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, di generazione in generazione. All’ascolto segue l’adesione, l’obbedienza, come risposta libera del nuovo Israele e sua caratteristica specifica. Il credente ascolta e, quindi, obbedisce a Dio, perché egli è la roccia che non tradisce, solida, che rende stabili (Deuteronomio 32,4). Ecco perché nella Bibbia il verbo “ascoltare” è lo stesso di “obbedire”. Perché ascoltare è aderire con il cuore e mettere in pratica ciò che si è udito.
A livello etimologico, il termine deriva dal latino oboedentia (da ob, dinanzi, e audire, prestare ascolto): è ascoltare stando di fronte, in piedi… “In effetti, si può obbedire solo stando in piedi. In ginocchio si soggiace, non si obbedisce. Si soccombe, non si ama. Ci si rassegna, non si collabora” (don Tonino Bello).
Nel Vangelo, per l’obbedienza, non c’è una formulazione esplicita. Ma in Gesù tutto proclama l’obbedienza e la comunione con il Padre. Un’obbedienza che lo porterà sulla croce. Gesù non voleva certo la sua morte. Ma quando gli uomini l’hanno decisa, egli continua la sua missione, perché continua ad amare e rivelare la misericordia di Dio.
Il voto di obbedienza ripropone nell’oggi l’obbedienza di Cristo al Padre. Il consacrato si mette nelle mani di Dio per realizzare, con grande senso di responsabilità, non i propri progetti umani o il proprio interesse, ma l’opera che Dio affida a lui e al suo Istituto. È quindi importante l’ascolto della Comunità, quello che gli altri pensano o capiscono, per riconoscere “insieme” ciò che va realizzato nell’oggi.
“Il mio vero programma di governo è quello non di fare la mia volontà, di perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore, e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia” (Benedetto XVI).
È avere una sola legge: quella del Vangelo e misurare tutto con i suoi criteri, nell’interesse delle persone. L’obiettivo rimane il “regno di Dio”. L’oggetto dell’obbedienza è la vita, il bene che cerca nuove strade, la verità che vuole esprimersi, l’attenzione al “di più” da far emergere. Obbedire al Signore è obbedire alla vita, nell’impegno di togliere le situazioni di morte presenti nella società.
Il voto di obbedienza racconta l’amore di Cristo nell’oggi della storia. Il consacrato sceglie di essere come Lui, di amare come Lui: come quando lava i piedi ai discepoli, accoglie la prostituta, avvicina i peccatori… Ma, nello stesso tempo, è una luce che mostra l’oppressione che subiscono i poveri e l’empietà dei potenti che sovvertono la volontà di Dio sull’umanità.
“Shomér ma mi-llailah? Sentinella, quanto resta della notte?” (cfr Isaia 21,6-12). Il mondo ha bisogno di religiosi, in ascolto di Dio, che sappiano indicare la strada per incontrarlo. E mostrino possibile la vita di fraternità.
di Christian Ricci
pubblicato nella rivista SE VUOI
* Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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