Giacomo Alberione imprenditore di Dio [3]

La garanzia dei risultati

Il “lascito” di Giacomo Alberione era un’imponente opera di “apostolato della buona stampa”. […] La convinzione di aver avuto da Dio una missione speciale e ben determinata, da compiere personalmente, scrive il suo biografo, “era radicata nel fondo del suo animo come un dogma di fede”. […]

Partendo nel 1914 da una tipografia di dimensioni ridottissime condotta da una manodopera piena di buona volontà ma senza alcuna specializzazione, nel giro di pochi anni, rincorrendo le occasioni che la crisi bellica e postbellica offriva, aveva acquistato nuove macchine e ingrandito l’attività produttiva, contando su un numero di seguaci che cresceva impetuosamente, ansiosi di porre tutte le proprie (scarse) risorse al servizio di un ideale apostolico che li infiammava. […]

Quanto alle risorse economiche, Alberione ne ebbe sempre bisogno in quantità assai considerevole. Il denaro non gli bastava mai. Non certo per esigenze personali, dal momento che la sua vita fu, senza eccezioni mai, improntata a uno stile ancor più che monacale. Ma perché quello che stava creando costava molto, seppure i suoi figli (e le sue figlie ancor più) non ricevessero alcun compenso per il preziosissimo lavoro che svolgevano. Gli edifici, però, avevano un loro costo, di costruzione e di manutenzione; e le macchine da stampa non sempre riusciva a trovarle a buon prezzo; e, comunque, mantenere un esercito di persone che cresceva di continuo comportava un onere non indifferente. E allora come faceva? Per comprenderlo, dobbiamo entrare nella sua mentalità, plasmata da una fede granitica: diceva che “è facile fare le opere coi soldi, il bello è lasciare che faccia le opere il Signore, che non parte mai dai soldi”. E ancora che “le opere di Dio non si cominciano col denaro, ma con la preghiera e la fiducia in Dio; si metta la fiducia in Dio e si vada avanti, cominciare coi soldi è ingenuità”. […]

Dell’imprenditore, dunque, Alberione possedeva in elevata misura alcune delle doti più spiccate. Ebbe sempre a guidarlo un obiettivo chiarissimo, che perseguì con fermezza ma pronto in ogni caso a modulare il percorso per raggiungerlo, valutando con realismo ciò che era possibile volta per volta. […]

Ciò gli era possibile grazie al fortissimo carisma che emanava e che tutti i suoi collaboratori e le sue collaboratrici riconoscevano e rispettavano. Egli non si presentava come un dotto che mette a disposizione di altri i tesori di sapienza che ha accumulato, ma come un maestro, o meglio ancora come un capo che dava direttive, suggeriva metodi nuovi e additava le mete da raggiungere. E sapeva farsi ubbidire senza mai usare modi men che sommessi.

Ma i suoi obiettivi furono sempre alieni da valutazioni di carattere economico. Egli voleva fortemente e solamente servire il suo Signore e la sua Chiesa, usando i mezzi che l’imprenditorialità gli suggeriva. Ma non perseguì mai il profitto, anzi in ogni modo cercò di evitare che la sua opera “degenerasse in un’impresa a carattere industriale e commerciale”. […]

Era fermamente convinto che, trattandosi la sua non di un’attività commerciale ma di un’opera di apostolato, tutte le sue parti dovevano essere nelle mani di “anime consacrate”, o almeno di cristiani che cercassero unicamente la ricompensa del Signore. Affidare il compimento di un apostolato a persone salariate gli pareva una sorta di profanazione. […] Soprattutto lasciano sbalorditi i modi con cui Alberione lanciava i suoi sacerdoti, e le sue figlie, letteralmente all’avventura, fidandosi esclusivamente sull’aiuto del Signore. […]

Don Alberione non potrà seriamente essere considerato come un modello per gli imprenditori. Ma sicuramente i risultati della sua attività, anche guardando solo gli aspetti materiali, sono stati grandiosi.

* Estratto dalla relazione su “Giacomo Alberione imprenditore di Dio” del prof. Gianfranco Maggi. PalaAlba, domenica 28 novembre 2021 (cfr “Gazzetta d’Alba” martedì 4 gennaio 2022 e al seguente indirizzo web:

(vai al sito)