La conversione di Paolo [2]

Quale Dio serviamo e annunciamo?

Incontro tenuto nella Comunità Paolina “Primo Maestro” di Roma, in occasione della festa della Conversione di san Paolo, da don Francesco Cosentino – Docente di Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana e Officiale presso la Segreteria di Stato Vaticana. [SECONDA PARTE]

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Cosa è veramente la conversione

La prima cosa che le persone pensano quando ascoltano la parola “conversione” è questa: io non sono a posto, c’è qualcosa in me che non va e quindi devo cambiare. Ma a quale Dio si riferisce un simile pensare? Davvero quel Dio che in Gesù ha detto alla mia vita di essere benvenuta e benedetta, e mi ha detto di essere un figlio amato, creato a sua immagine, mi chiede di esprimere un giudizio così severo e negativo su me stesso?

Se il Vangelo è una buona notizia, allora la parola conversione deve avere sfumature e significati radicalmente diversi. Con questa parola, la fede cristiana vuole dirmi: Tu sei molto di più, lasciati trasformare. Che significa, secondo Agostino, il tuo cuore è fatto per Dio, per cose grandi, per una vita piena, per una gioia senza fine, per l’eternità; e molte cose, qui, nella tua vita, ti impediscono di fare questo viaggio. Allora la conversione implica poi un lasciare alcune cose, un tagliarne altre, un togliere impedimenti sul cammino, ma il motivo di fondo è Dio che vuole trasformare la mia vita perché diventi una festa.

Camminare nella fede significa lasciarsi trasformare dallo Spirito Santo per diventare l’immagine splendente e meravigliosa che Dio ha di me. E vivere pienamente. Non è un atto di violenza, ma un atto di amore. Trasformare significa: tutto in me ha diritto di esistere, anche le mie passioni, le mie malattie, le mie fragilità; mi apprezzo per come sono; al contempo, l’incontro con Gesù e con la Sua Parola, mi aprono a uno sguardo più ampio fino ad avvertire dentro di me, nelle mie nostalgie più profonde e nei desideri che porto nel cuore, che io sono fatto per un di più, che non sono ancora completamente la persona che dovrei e potrei essere.

Quando mi apro alla trasformazione che Dio vuole operare in me, non pretendo di avere tutto sotto controllo: mi apro alla fiducia che tutto ha un senso e che, se sono docile, il Signore mi plasma, mi modella, mi trasforma. È questo quello che è successo a Paolo sulla via di Damasco: prima aveva tutto sotto controllo, era un fariseo, un uomo di cultura, un uomo sicuro di se stesso, un pio osservante della Legge. Anche Dio era sotto il suo controllo. Ma quando viene afferrato e folgorato da Cristo, diventa cieco: non può vedere e camminare da solo, non è più autosufficiente, si lascia docilmente portare. E, più tardi, scriverà quelle che per me sono le parole più belle per descrivere la conversione e non a caso parla di “trasformazione”: “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma trasformate la vostra mente per poter discernere ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto” (Romani 12,2). È straordinaria l’antitesi che si crea in queste parole: trasformazione è il contrario di conformazione. Noi, spesso, per comodità, per pigrizia o mancanza di libertà interiore, andiamo dove vanno tutti, scegliamo come la massa ci indica, obbediamo e operiamo ma solo per adeguarci e apparire esteriormente puliti, siamo cioè conformisti; il cristianesimo, invece, è anticonformista. Non per moda, ma perché crede che vive davvero chi non ha paura di cambiare e crede che Dio è l’origine delle migliori trasformazioni della nostra vita.