Un articolo della pedagogista Paola Bignardi, (D)io allo specchio, su Vita Pastorale di gennaio, parla di una indagine, sulla spiritualità dei giovani portata avanti per tre anni dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo.
“L’indagine – scrive la Bignardi – non è partita da una definizione di spiritualità; piuttosto si è cercata la descrizione dei modi con cui i giovani interpretano la loro vita, le loro aspirazioni, i loro desideri profondi; che cosa sono per loro felicità e sofferenza, realizzazione di sé ed esperienza spirituale. […] Il vocabolario che i giovani utilizzano per rappresentare il loro mondo intimo è quanto mai ricco, pieno di sfumature: lo si direbbe frutto di un ascolto di sé raffinato e continuo; vi compaiono soprattutto parole che fanno riferimento ai loro stati interiori, e poi alle relazioni, alla natura. Le immagini che si affacciano in loro pensando a che cos’è spirituale sono cammino, salita, luce, scoperta, centro, sogno… e tutte dentro una tensione verso il proprio autentico sé e verso l’altro/Altro, che si intrecciano, si rincorrono, dialogano continuamente… Le parole della felicità sono sole, sogno, viaggio, benessere, relazioni e soprattutto amore… E quelle della sofferenza? Solitudine, tradimento, conflitto, paura, vuoto…”.
Nell’elenco di parole, espressione della spiritualità dei giovani, stranamente non compare “Dio” né termini che appartengono al lessico religioso.
Chiarisce la Bignardi: “Le nuove generazioni, sempre più estranee e lontane dalla religione tradizionale e, soprattutto, istituzionale, sono sensibili a una ricerca interiore che percorre i sentieri dell’intimità e della soggettività, in cui il trascendente, la natura, la propria armonia interiore si fondono in un’esperienza di benessere che spesso appare come lo scopo della ricerca stessa. […] Se vi è oggi una possibilità che le nuove generazioni si incontrino con Dio, questo difficilmente potrà avvenire a prescindere dalla ricerca che è già aperta dentro di loro, come domanda di autenticità, armonia interiore, pienezza, realizzazione di sé”.
La conclusione mette in evidenza anche una difficoltà specifica che i giovani possono incontrare: “Una vera proposta del Vangelo troverebbe in loro un terreno adatto e recettivo se non fosse ostacolata dall’idea che si sono fatti – l’educazione ricevuta e l’esperienza vissuta li confermano in questo – di una religione che non è alleata della vita e della sua domanda di pienezza, e di un cristianesimo che, nell’attivismo delle comunità cristiane, non fa loro percepire un orizzonte spirituale”.
Una risposta a questa problematica possiamo trovarla nell’esperienza della professoressa Maria Raspatelli, vincitrice del Global Teacher Award 2022, docente di religione cattolica all’Istituto tecnico Pitagora-Panetti di Bari. Il settimanale Credere, in edicola dal 19 gennaio, le ha dedicato la cover story.
La professoressa ha sbaragliato la “concorrenza” dei colleghi di 110 Paesi pur insegnando una materia “cenerentola”, che nella scuola italiana non prevede valutazioni e conta una sola ora di insegnamento a settimana. Il suo merito? La capacità innovativa nel modo di spiegare le questioni religiose e l’essere diventata fonte di ispirazione per i ragazzi che incrocia quotidianamente.
“La mia missione? Appassionare gli studenti alla vita”, dice. “Se dobbiamo portare la Bibbia in classe, non posso entrare leggendone un brano, perché non è il catechismo. La religione nella scuola deve essere un’ora di cultura. Bisogna fornire una panoramica e sviluppare un pensiero critico. L’insegnamento della religione cattolica è il momento della riflessione, perché i ragazzi hanno bisogno di questo, non solamente di nozioni”.
E aggiunge: “Ai ragazzi non bastano le nozioni scolastiche, servono valori e punti di riferimento”. “Dobbiamo reggere le sfide che lanciano i ragazzi, sia dal punto di vista emotivo che da quello culturale…”. Per questo, “è fondamentale, per un insegnante di religione, dare ragione della propria fede”.
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