Cercare la verità per condividerla
La verità nella cultura della comunicazione
La comunicazione è emblema della modernità. E gli strumenti della comunicazione, dai mass media ai social, oltre a costituire delle nuove e straordinarie opportunità di connessione con il mondo intero, determinano il linguaggio e ritmano la vita. E sono il paradigma del nostro tempo, lo interpretano e lo esprimono. Scriveva il card. Martini già nel 1991 (Il lembo del mantello, p. 34): “I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono una atmosfera, un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di suoni, di immagini, di colori, di impulsi e di vibrazioni… È il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi”. Ma quale vita viene oggi modellata dai media? Quale realtà ci riportano e in quale realtà ci immettono? Immersi in una valanga di messaggi, a quale verità attingiamo, e con quale interpretazione della realtà veniamo a contatto?
“Ogni comunicazione deve possedere alcuni requisiti fondamentali che sono la sincerità, l’onestà, la veracità. Non bastano quindi la buona disposizione e la retta intenzione per rendere attendibile una comunicazione; essa deve riferire le notizie secondo l’esatta visione della realtà e riflettere la verità in tutte le sue esigenze più profonde”, affermava la Communio et progressio (n. 17). E ogni comunicatore sarebbe d’accordo. Di fatto, però, tra l’affermazione teorica che tutti condividono e la sua applicazione pratica intercorrono tanti e tali fattori che rendono il rapporto tra comunicazione, verità e conoscenza della realtà estremamente difficile. Le sempre più ampie possibilità di comunicare, stranamente, hanno dato spazio alla soggettività, alla manipolazione, alla strumentalizzazione, alla falsificazione. È quindi legittimo domandarsi: quanto è affidabile la comunicazione e a quali logiche risponde? Seguendo lo schema, possiamo accorgerci di cosa avviene in un processo di comunicazione.
Lo schema, da sinistra a destra, è abbastanza semplice e di facile comprensione. Ma c’è qualcosa che normalmente sfugge, non tanto a livello mentale, ma in pratica. Ed è cosa veniamo a conoscere da una notizia, da una informazione, dal racconto di un fatto. Non veniamo a conoscere la realtà, eppure lo crediamo. E ne siamo ancora più convinti con il continuo ricevere comunicazioni dello stesso tipo. Cosa invece veniamo a conoscere? Veniamo a conoscere l’idea che, di quella realtà, il comunicante vuole trasmetterci. Solo questo. E la riceviamo in maniera inavvertita. Entra in noi senza che ce ne accorgiamo. Anzi, entra in noi mentre siamo convinti di conoscere, essere a contatto con la realtà.
Non avendo accesso diretto alla realtà, il Recettore non può verificare se il messaggio ricevuto corrisponde o meno alla realtà d’origine. Il messaggio ricevuto può essere aderente alla realtà, ma può anche discostarsi, sino alla possibilità di falsificarla. Di conseguenza, il Recettore, se non è attento, considera fatto reale ciò che un Comunicante gli dice, e reagisce al messaggio come se si trovasse di fronte alla realtà.
I mezzi della comunicazione sono, inoltre, così potenti e pervasivi che hanno oggi la possibilità non solo di veicolare la notizia, ma di “costruirla”. Fatti marginali diventano eventi straordinari e fatti importanti non trovano attenzione o sono del tutto ignorati. Questo fenomeno di distorsione è andato crescendo di pari passo con l’affermarsi dei media come fattore essenziale della vita sociale.
Non esistono parole innocenti
Avere presente il processo di comunicazione è fondamentale soprattutto quando ci si approccia a una questione di interesse per l’opinione pubblica. Approfittando, infatti, del fatto che l’utente identifica il messaggio ricevuto con la realtà riferita, coloro che governano o che gestiscono il potere, una organizzazione o anche una singola persona, possono indurci a elaborare giudizi, creare correlazioni e formulare conclusioni che riteniamo frutto di una nostra analisi razionale, ma che in realtà sono stati volutamente indotte per orientare il giudizio. Si tratta di un’attività che può impiegare informazioni vere o false, volutamente e sapientemente elaborate; notizie reali, ma ingigantite (se favorevoli) o ridimensionate (se contrarie), messe in modo da far passare il messaggio voluto, con lo scopo di plasmare l’opinione pubblica, attraendola verso le proprie posizioni/ideologie. Continuamente martellati da informazioni manipolate, diventa così sempre più difficile distinguere la realtà dalla finzione appositamente creata per formare il nostro parere e, alla fine, si finisce per credere a (quasi) tutto.
La comunicazione ha la possibilità di influire pesantemente sulla nostra percezione della realtà; influenzare le nostre percezioni, atteggiamenti e comportamenti; portarci ad assumere in maniera superficiale posizioni (a favore o contro), rendendo difficile la discriminazione tra le notizie reali e quelle costruite per ingarbugliare la matassa.
Può anche capitare che lo stesso originatore di un tipo di notizie inizi a credere alla narrazione che fa al pubblico più vasto. Fino a perdere completamente la connessione con la realtà dei fatti. Ed essere sempre più convinto delle sue affermazioni.
Che fare allora? Come rimanere liberi all’interno del processo comunicativo? L’ideale sarebbe di poter accedere alla realtà di riferimento, ma questo in genere non è possibile. Ma c’è una cosa che possiamo fare. Di fronte a un messaggio, smettere di credere che sia la realtà, e incominciare ad affermare che quello che ci viene comunicato è unicamente il pensiero – su quella realtà –- di quel comunicatore, testimone o meno dei fatti. Un secondo passaggio sarebbe il mettere a confronto le idee delle parti contrapposte e vedere come trattano lo stesso argomento.
Alla ricerca della verità: un esercizio possibile a tutti
Chiarito cosa avviene in un processo di comunicazione e quanto è facile confondere e identificare il messaggio con la realtà, conviene passare alla pratica. Giornalmente, da quali comunicazioni siamo inondati? Sono un buon banco di prova per esercitarci e fare una analisi libera di ciò che viene comunicato. Possiamo farlo su qualunque comunicazione, specie se ricorrente.
Per completare il discorso, è bene aggiungere un altro schema, conseguente al precedente, per sottolineare che, pur stando nella realtà, viviamo in uno pseudo-ambiente che influenza le nostre scelte e le nostre azioni sulla realtà. Ogni persona, infatti, adatta la sua rappresentazione della realtà al suo ambiente reale; la qualità di questo adattamento dipende sia dalla qualità delle informazioni (fatti + opinioni) che è in grado di procurarsi e che sono sempre esposte al rischio di manipolazione, sia dalla sua capacità di analizzarle criticamente.
Se analizziamo i messaggi che ogni giorno ci vengono dati, scopriamo che sono costruiti per informarci o convincerci di una realtà che forse è così (e probabilmente in genere lo è), ma forse non lo è, o non lo è come ci viene esposta. Altra tecnica usata da chi comunica è quella di enfatizzare la descrizione di fatti in linea con il proprio pensiero, e sminuire o tacere del tutto l’esistenza di fatti che possono dare una differente visione della realtà. Ecco perché è importante la verifica, e dire il nostro “sì” solo alla verità. Che è da raggiungere.
Un esempio pratico. Sono decine le guerre in corso e tante altre se ne annunciano. Con un copioso uso di armi: da fuoco, da getto, da taglio, chimiche, batteriologiche, esplosive, incendiarie, annuncio di quelle nucleari. Invece, come suonano innocue parole come armi d’assalto o armi difensive. Fanno pensare a qualcosa di dinamico, ma innocente. E provocare poca o nessuna reazione, o addirittura appoggio. Chi comunica usa, a proposito, termini che non corrispondono alla realtà. E andrebbero tradotti con: strumenti atti a distruggere le cose e uccidere le persone. Ma nessuno ci bada. Anche perché vengono offerte motivazioni accettabili: per la libertà, per la difesa, per la pace. Al di là delle parole, che fanno parte del messaggio che ci vogliono comunicare, quale è la realtà? Distruggere le cose e uccidere le persone.
Comprendere che nel racconto di un evento noi veniamo a contatto unicamente con quel racconto (e, nel racconto, con l’idea che l’autore immette) e non con la realtà, ci può portare a riflettere su come si formano le opinioni e spesso le nostre “spontanee” dichiarazioni. E il messaggio che ci viene comunicato, non è detto che sia per farci conoscere una realtà, ma potrebbe anche essere formulato per condurci ad agire a favore degli interessi personali di chi comunica.
Proviamo a considerare qualcuna delle convinzioni che abbiamo in questi tempi. È nostra o è stata indotta in noi? Probabilmente penseremo che è nostra. Riflettiamo ancora un po’, perché quella realtà che noi siamo convinti esistere, è invece l’idea di chi ce l’ha comunicata. Corrisponderà alla realtà? Sta a noi la ricerca della verità, e non l’accoglienza passiva di qualunque cosa ci viene comunicata, anche se sono in tanti (il cosiddetto mainstream o di massa) a darci la stessa versione.
Ecco perché è importante considerare come sono costruite le informazioni e le notizie che formano il nostro pseudo-ambiente. Ecco perché è importante scomporre la notizia per scoprire quale realtà vuole farci credere. Molte volte è necessario soffermarsi anche su ogni singolo particolare per scoprire che ci offrono una realtà trasformata, ricostruita per orientare su determinate scelte.
È questo il primo passo per avere un pensiero libero e fare scelte libere. Tanto più che, poi, le opinioni acquisite conducono ad azioni, e queste saranno nella realtà. Troppo spesso, infatti, ci ritroviamo con una realtà che abbiamo scelto senza accorgerci del perché l’abbiamo scelta o come siamo arrivati a sceglierla.
Se rimaniamo liberi, potremo anche accedere alla verità della realtà. E impegnarci per una realtà vera e condividerla nella comunicazione. Consapevoli, però, che ciò che comunicheremo sarà l’idea della realtà che abbiamo conosciuto e non la realtà stessa.
Walter Lobina