Trovare Cristo seguendo le stelle

«“La fede è un dono”. Ho ascoltato questa frase dalle persone più diverse, di ogni età. Chi la pronuncia lo fa con un sospiro, e ti appioppa uno sguardo di intesa o di rammarico, alcune volte persino di commiserazione. E dice, la fede è un dono, ma che non è per me, che io non ho. Quel sospiro preludeva sempre a questa chiosa. È un dono che io non ricevuto. Mi dispiace, o faccio finta, per rispetto al fatto che sei un prete, che mi dispiaccia. Comunque tu la voglia mettere: no, non è per me. Altri lo dicevano con rammarico vero, ma senza fili di particolari speranze con cui tessere una qualunque scaletta per uscirne. È vero, la fede è un dono. Ma nel senso che è donata, non si costruisce, né si compra né si scambia. È donata da Dio, ma a chiunque. Come la luce del Sole. Nonostante tutto è per chiunque voglia giocare la sua libertà per riceverla. Anche il cielo stellato è un dono, per tutti. Ma bisogna fermarsi, cercare un posto che sia un minimo buio, torcere il collo verso l’alto o sdraiarsi per terra per poterlo ricevere quel dono. Sono qui a donare quanto a mia volta ho ricevuto a te che leggi, che con libertà ti sei messo in ascolto delle mie parole, e con libertà scegli di fare viaggio con me. Tra le stelle, nel cielo profondo, alla ricerca di te stesso e di Qualcuno che ha un dono da farti accogliere. Accettando, come per ciò che riguarda la fede, di mettere il tuo occhio nel buio». Così scrive Luca Peyron, nel suo libro Cieli sereni. Trovare Cristo seguendo le stelle (e con l’uso di un telescopio). (Edizioni San Paolo 2023, pp. 159). E propone un percorso straordinario, incrociando la luce che viene dal passato della formazione cosmica e la luce che viene dal futuro inaugurato dalla risurrezione di Cristo. Ma, continua l’autore, «la luce ha bisogno di un verbo, vedere. Senza la vista la luce è calore ma non immagine, è sensazione ma non colore. Il Vangelo di Gesù è pieno di ciechi. Ma anche il nostro tempo lo è. Ciechi con la vista ma che non vedono. Anche io e forse anche tu, lo siamo ogni tanto. Scegliamo di esserlo. Quante volte alla luce non perdoniamo di essere luce e di portare se stessa dove preferiremmo il buio, il nulla, il silenzio. Finiamo per spegnerla e dimentichiamo di accenderla. […] Essere ciechi al tempo di Gesù era considerata una conseguenza del peccato, personale o familiare… Gesù ha un’interpretazione diversa. È cieco perché possa riavere la vista».

La proposta di Luca Peyron è un viaggio nel cielo, tra le stelle. «Andremo a caccia di luce. Tutto qui. L’invito è di andare a spasso nella volta celeste per vedere ed essere visti. Provare ad ascoltare e ad essere ascoltati… Non ci sono trucchi, nessuna magia. Nessuna strategia o manipolazione. La luce è luce. Ma dobbiamo accettare che essa passi, che essa illumini, che essa vada dove deve andare, che essa accenda e scaldi ciò che deve. […] Nell’osservazione del cielo notturno è possibile tessere un dialogo antico e nuovo, eterno e presente. Un dialogo che corre sui fili della luce. La luce delle stelle, la luce di una stella che sin da quel primo giorno ha condotto ai piedi del Salvatore coloro che lo cercavano e lo aspettavano».

Luca Peyron è sacerdote della Diocesi di Torino. Ha fondato e coordina il Servizio per la pastorale digitale, è Faculty Fellow del Centro Nexa del Politecnico di Torino e membro del Consiglio scientifico dello Humane Technology Lab dell’Università Cattolica di Milano. Di tanto in tanto lo si può trovare sul tetto della sua Parrocchia in compagnia di qualche universitario o famiglie con bambini a caccia di comete, stelle e pianeti. «E così il tetto della parrocchia è diventata un’aula di catechismo, il cielo profondo un luogo d’incontro, le fotografie sul web un motivo di dialogo, di gioia, di lode, di curiosità condivisa, di bellezza e di stupore. Mi sono messo a tirare giù il cielo per raccontare che è stato fatto per noi, a tirare giù dal letto le persone per raccontare che noi siamo fatti per ben altro che una puntata di un qualunque reality. E funziona».