Dove va la Chiesa? Quale sarà la Chiesa di domani? Quale Chiesa stiamo edificando come testimonianza del Signore Dio che è venuto nella storia assumendo la nostra umanità?
Ad affrontare questo tema, nel libro Dove va la Chiesa? (Edizioni San Paolo 2023), è fratel Enzo Bianchi, monaco e saggista, fondatore della Comunità monastica di Bose di cui è stato Priore fino al 2017, e poi fondatore di Casa Madia, ad Albiano di Ivrea, dove risiede.
La risposta alle domande iniziali non può che essere una, afferma Enzo Bianchi. «La Chiesa percorre un cammino, una via che è Gesù Cristo! È il Signore Gesù stesso che ai suoi discepoli ha dichiarato con assoluta chiarezza: “Io sono la via” (Giovanni 14,6). Questa verità – è l’appunto dell’autore – rischia di sfuggire alla comprensione degli stessi cristiani, di quelli che continuano a pensare alla sequela di Gesù come a un’etica, una dottrina, una spiritualità. No, per il cristiano la sequela consiste nel percorrere quella “via” che è Gesù Cristo, una via lungo la quale cercare e trovare la vita, una via per andare a Dio. […] È dunque compito di tutti i cristiani … affinché il Vangelo, la “Buona Notizia”, che è Gesù Cristo e Gesù Cristo che è il Vangelo sia predicato. […] È il Vangelo che deve plasmare la vita del cristiano, è la vita umana di Gesù che deve ispirare la vita quotidiana del cristiano. Questo richiede che si viva un’assiduità personale con la parola di Dio e che tutto l’operare della Chiesa sia obbedienza piena al Vangelo».
Chiarito questo, è bene considerare la realtà in cui viviamo. «Siamo tutti consapevoli del grande mutamento in atto, con velocità accelerata, negli ultimi dieci anni […] Soprattutto le nuove generazioni sono segnate da incertezze nel credere, da mancanza di appartenenza alla Chiesa, da rigetto delle immagini tradizionali di Dio e della morale tradizionale cattolica. […] La società fondata sull’immagine di un Dio evidente, che si imponeva come potenza assoluta, un Dio di cui non dubitavano né la filosofia né la cultura, è ormai lontana, alle nostre spalle e incapace di intrigare gli umani».
«Viviamo in un’epoca post-cristiana, e nelle nostre terre di antica cristianità ci sono situazioni che fanno sì che la missione sia quanto mai urgente. Soprattutto le nuove generazioni sono segnate da una profonda indifferenza verso la religione, verso la ricerca di Dio, verso l’appartenenza alla Chiesa. […] Per le nuove generazioni – ma anche per alcuni delle generazioni post ’68 – Dio non è più interessante, non è più necessario per vivere bene, nella felicità. Si continuano a ripetere alcuni slogan ma, se si ascoltano veramente i giovani, si comprende che stanno bene senza ricerca di Dio. […] Dio è addirittura una parola ambigua, respinta dalle nuove generazioni, perché spesso è legata al fanatismo religioso, all’intolleranza, alla violenza».
Quale intervento fare? «Ieri, oggi, sempre occorre guardare a Gesù di Nazaret, al suo stile, fonte di ispirazione in ogni tempo e in ogni terra. Quando egli riesce a emergere con la sua autorevolezza, con la sua coerenza tra il parlare, l’operare e il sentire, allora gli uomini e le donne sono attirati. Sì, attirati, secondo la sua promessa: “Quando mi vedranno nell’atto di dare la vita e di affermare solo l’amore, contro ogni inimicizia e violenza, di affermare il perdono invece della vendetta, allora si sentiranno tutti attirati da me” (cfr Giovanni 12,32)».
A questo punto, Enzo Bianchi riporta un interrogativo che molti gli pongono. «La Chiesa è ancora capace di essere missionaria, di rendere eloquente la fede che professa?».
Il mandato di Gesù risorto, “Andate, evangelizzate in tutto il mondo, portate la buona notizia a ogni creatura” (cfr Marco 16,15) è sempre attuale ed è un compito che riguarda tutti. «Tutti i cristiani sono chiamati ad assumere la responsabilità di essere inviati a uomini e donne che non conoscono Gesù Cristo».
Purtroppo, «le nostre comunità cristiane si sono assestate, spesso per loro sono più decisivi i valori o le prassi etiche che non la passione bruciante e la fede in Gesù Cristo. Al contrario, non si ripeterà mai abbastanza che nell’evangelizzazione siamo chiamati a mettere al centro Gesù Cristo e la sua umanità, rivelazione del Dio vivente».
«Come inculcare la fede in questo mondo globalizzato e post-cristiano? Rispondere a questa domanda richiede di compiere passi nuovi, richiede nuovi modi di vivere e far vivere la liturgia, richiede un altro linguaggio, richiede di mettere a fuoco gli elementi essenziali del cristianesimo, senza timori né paure. Ci è chiesta una grande conversione, forse simile a quella che il cristianesimo del primo secolo dovette compiere per aprirsi dal giudaismo a tutte le genti della terra».