Tra la fine del 1800 e i primi del 1900, il giovane Giacomo Alberione percepisce l’invito di Cristo “Venite tutti a me” (Matteo 11,28) rivolto alle genti. Si accorge, però, che le persone vanno sempre meno in chiesa; immagina così un nuovo modo di evangelizzare: con la stampa e, in seguito, con gli altri strumenti di comunicazione, accanto all’evangelizzazione che tradizionalmente si fa nelle parrocchie. Nel realizzare questa missione, si ispira e assume San Paolo a modello: “Gli parve veramente l’Apostolo: dunque ogni apostolo ed ogni apostolato potevano prendere da lui” (Abundantes divitiae, n. 64),
L’ammirazione per San Paolo nasce dal duplice orientamento, amore a Cristo e amore alla missione apostolica: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Galati 2,20) e “Mi sono fatto tutto a tutti” (1 Corinzi 9,22). L’Apostolo vive in pieno queste due dimensioni, e le indica alle sue comunità come pratica da osservare.
Il carisma paolino ha il suo fondamento in questo impegno di rendere presente Cristo nella propria persona. Da cui consegue la totale dedizione all’apostolato. A tale scopo, don Alberione, pensando alla Famiglia Paolina, mette come riferimento per la comunicazione del vangelo San Paolo, l’Apostolo per eccellenza.
Ed ecco alcuni interventi di don Giacomo Alberione, che ci fanno capire l’importanza dell’Apostolo Paolo nella realtà della Famiglia Paolina.
Già nel 1914 ha chiara l’importanza dell’Apostolo. Scrive su Unione Cooperatori Buona Stampa (n. 5): «Ha fatto il giro del mondo l’espressione di Mons. Ketteler, Arcivescovo di Magonza: “Se San Paolo tornasse al mondo si farebbe giornalista”, ed io lo credo fermamente. In verità, che faceva S. Paolo? Seminava dappertutto la parola di Dio. A tal fine sceglieva i luoghi e le cattedre più riputate per farsi udire da un maggior numero di persone. Ne cercava e domandava alle sinagoghe, ne domandava all’Areopago d’Atene, al tribunale di Agrippa, al Teatro della grande Diana d’Efeso, alle prigioni Romane.
Supponiamo che un giorno avessero detto a San Paolo: Paolo, vi ha una cattedra donde si può essere uditi non solamente da una piccola sinagoga, ma dal popolo intero, anzi da tutto il mondo: dalla Siria, dalla Palestina, da tutta l’Asia, dall’Egitto, dalla Grecia e dall’Italia ancora: dall’alto di questa cattedra tu puoi annunziare Cristo, predicare la Croce, sollevare i popoli verso la giustizia e la verità. Io sono sicuro che San Paolo avrebbe subito chiesto: “Dov’è questa cattedra? Voglio salirvi”. E se gli fosse stata indicata, egli l’avrebbe salita in un batter d’occhio e vi sarebbe rimasto per tutta la vita, come gli stiliti sulle loro colonne. Questa cattedra non esisteva al tempo di San Paolo, ma esiste adesso: è il buon giornale. Ecco il pulpito dell’umanità».
Nel 1932, in Donec formetur Christus in vobis (n. 96), invita alla conoscenza dell’Apostolo: «San Paolo, dobbiamo: Leggerlo come modello di scienza altissima che trascende i secoli, i luoghi, le questioni; e come modello d’Apostolato Stampa».
Il 30 giugno 1933, in una meditazione alla Famiglia Paolina (ora contenuta nella raccolta Alle figlie di San Paolo), ad Alba, dichiara: «Perché San Paolo è così grande? Perché compì tante opere meravigliose? Perché anno per anno la sua dottrina, il suo apostolato, la sua missione nella Chiesa di Gesù Cristo vengono sempre più conosciuti, ammirati e celebrati? Egli è uno di quei santi che giorno per giorno ringiovaniscono e dominano e conquistano: perché? Il perché va ricercato nel la sua vita interiore. È qui il segreto. I palloni pieni di aria, gonfi, in un giorno svaniscono, si vuotano, ma quando vi è la ricchezza, quando vi è la vera dottrina, quando vi sono i veri meriti, quando vi è la vera vita interiore, si diventa germe. La pianta rimane qualche tempo nascosta perché tutto è chiuso in un embrione, messa sotto terra. Ma quando l’embrione si sviluppa, il germe si manifesta prima in una pianticella, poi in un arboscello, quindi in una grande magnifica pianta. Ebbene l’Apostolo Paolo era di grande vita interiore. […]
Invano noi chiediamo a San Paolo delle grazie che ci rendano eroi davanti agli uomini. Bisogna che chiediamo in primo luogo le grazie che ci rendono cari a Dio e poi, in secondo luogo, le grazie che ci rendono apostoli in mezzo al mondo. I figli devono rassomigliare al padre. Tutti gli amici di S. Paolo devono guardare a lui e conoscere il suo spirito. Quanto più si leggono e si penetrano le Epistole di San Paolo e la sua vita, tanto più si ama e si entra nella vera via della santità e nel vero spirito dell’apostolato».
Nel 1935, su Spiritualità paolina (nn. 415, 416), parlando alle suore, precisa: «Chi legge San Paolo, chi si familiarizza con lui, viene ad acquistare, poco per volta, uno spirito simile al suo. La sola lettura degli scritti paolini ottiene la grazia di divenire vere paoline».
Il tema viene ripreso nel 1940, in Oportet orare (n. 362): «Chi avvicina San Paolo, a poco a poco si trasforma, impara a vivere come lui, a pregare come lui. Chi ama San Paolo dilata presto il suo cuore, diventa generoso, largo nelle sue vedute».
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