“Mi protendo in avanti”. Questa espressione, tratta dalle Lettere di san Paolo, per don Giacomo Alberione è stato il punto di forza per scalare le vette della sua personale santità, nella difficile missione di annunziare il Vangelo.
“Protenderci in avanti ogni giorno, mai fermarsi, né nel cammino della santità, né nel lavoro di apostolato. Avanti! Protendersi sempre avanti!” (Alle figlie di San Paolo 1955, p. 185)
“Protendersi in avanti! Tenere sempre presente ciò che ci manca. Non c’è tempo per compiacersi del passato, raccontare le cose che si sono fatte, i risultati ottenuti in questa o in quella diocesi, in questa o in quella giornata mariana, del Vangelo, del catechismo, ecc. Non c’è tempo! C’è solo tempo per ricordare quello che ci manca, se vogliamo essere saggi e apostoli formati sul cuore di san Paolo” (Alle figlie di San Paolo 1957, p. 344).
Noi non possiamo, né dobbiamo, rimanere prigionieri del passato. I tempi camminano, ed è inutile dire: “una volta questo non c’era, non si faceva così…”. (Alle figlie di San Paolo 1948).
“La nostra missione è condurre le anime al Paradiso. Ma dobbiamo condurre non quelle vissute dieci secoli or sono, ma quelle che vivono oggi. Dobbiamo prendere il mondo e gli uomini come sono oggi, per fare “oggi” del bene!” (Appunti di Teologia Pastorale, n. 93).
“Si cerchino i migliori mezzi per la produzione del libro, del periodico, della pellicola, ecc. Il progresso in questo campo è rapido. Nel 1934 si potevano dire invecchiate le macchine del 1914; nel 1954 sono invecchiate quelle del 1934. Nel 1974 diranno: «Quei là, che cosa usavano!». Dobbiamo vivere col progresso, pensando alle anime” (Prediche del Primo Maestro 1954).
Il “protendersi in avanti” di don Alberione, è la modalità di attuare l’evangelizzazione. “Parlare agli uomini di oggi con i mezzi di oggi”, ripeteva don Alberione. È questione di adattamento alla generazione alla quale noi ci rivolgiamo, in uno sforzo continuo di fedeltà al destinatario e alle modalità comunicative che gli sono proprie. Di qui l’attenzione ai linguaggi della comunicazione: per tradurre in modo comprensibile il messaggio cristiano nei concetti e nelle modalità di una data cultura, cosicché il Vangelo non appaia come qualcosa di estraneo, ma come parte integrante di quella cultura e della vita delle persone.
È, questa, anche la direttiva pastorale di Papa Francesco: “La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile, i metodi evangelizzatori…” (Evangelii Gaudium 33).
Questo implica la necessità di una mentalità nuova, di un sistema organizzativo nuovo, di linguaggi nuovi, e di profeti e apostoli nuovi che realizzano una esperienza con Dio. Evangelizzatori capaci di raccontare e mostrare, in un mondo che ha perso il senso di Dio o che in pratica fa a meno di Dio, la storia di Dio che incontra la storia dell’uomo.
Il compito da assolvere, sui passi di don Alberione, è di creare futuro con un presente efficace. Essere profeti nel mondo d’oggi. Paolini evangelisti, cioè convinti e appassionati divulgatori. Essere magnetici. Diventare maestri di desiderio. Sognare che il mondo, con il nostro apostolato, può essere differente. Essere una realtà Paolina, luogo di evangelizzazione e di evangelizzatori, che si ispiri al futuro e sia fonte di ispirazione per gli altri.
Di fronte ai possibili timori, alle esitazioni, agli ostacoli che possiamo incontrare, ci consola e ci incoraggia quanto afferma Gesù, nel Vangelo. Ed è qualcosa di sbalorditivo: “chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste… qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò… Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò” (Giovanni 14,12-13).
Un percorso attraverso i pannelli che raccontano la sua storia, presenti nel corridoio antistante la sottocripta della Basilica Regina degli Apostol
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