“Vagando con la mente nel futuro gli parve che nel nuovo secolo anime generose avrebbero sentito quanto egli sentiva” (Abundantes divitiae, 15), così scrive don Alberione.
Nel gennaio 1919, don Timoteo Giaccardo riporta nel suo Diario alcune parole di don Alberione: “Alzate gli occhi, mirate in alto un grande albero di cui non si vede la cima: questa è la nostra Casa che è davvero un alberone, voi non siete che alle radici… Oh, se voi capiste mai il tesoro che è in voi, dove il Signore vi chiama…”.
Le iniziative apostoliche di don Alberione avevano successo, ma la sua risposta era sempre la stessa: “Tutto è venuto dalla Divina Provvidenza”. La sua fiducia incondizionata nell’aiuto divino è testimoniata dalla firma di una “cambiale” dove aveva scritto (in lingua latina): “Cerco prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia”, seguito dalla sua firma e da quella di don Timoteo Giaccardo; e “Tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”, mettendo la Santissima Trinità come garante.
Un’altra testimonianza della sua fiducia in Dio è il cosiddetto “Patto” o “Segreto di riuscita”. La prima scrittura, del 1922, ne chiarisce le componenti.
Il patto è con Gesù: “Gesù Maestro, accetta il patto che ti presentiamo per mano di san Paolo apostolo e di Maria, Regina degli apostoli”.
Segue la consapevolezza della realtà: “Noi dobbiamo acquisire un grado molto elevato di perfezione, maggiore di quello raggiunto dalle persone di vita contemplativa: eppure le nostre pratiche saranno meno numerose. Noi dobbiamo avere una scienza più vasta di quella richiesta in ogni altra professione: eppure le ore del nostro studio saranno minori. Noi dobbiamo riuscire nel lavoro con i media più di qualunque altro professionista: eppure lavoriamo meno degli altri e con maestri imperfetti. Noi dobbiamo essere materialmente – quanto a vitto, vestito, eccetera… – ben provvisti: eppure le nostre risorse sono quasi nulle”.
Ed ecco allora il patto, con tanto di proporzioni nel dare e avere: “Perciò, persuasi che Tu vuoi da noi tutto questo, facciamo con Te un patto, che sgorga dalla confidenza che abbiamo in queste Tue parole: ‘Qualunque cosa chiederete in nome mio l’avrete…’. Per parte nostra, promettiamo e ci obblighiamo: a fare tutto il possibile nello studio, nel lavoro, nella preghiera, e nel praticare la povertà; a fare tutto e solo per la Tua gloria; a lavorare per l’apostolato della comunicazione.
Ti preghiamo di darci la scienza di cui abbiamo bisogno, la santità che Tu esigi da noi, l’abilità al lavoro che ci è necessaria e quanto è utile ai nostri bisogni naturali, in questo modo: facendoci imparare il quattro per uno, dandoci di santità il dieci per uno, di abilità al lavoro il cinque per uno, di beni materiali il sei per uno”.
E, infine, la fiducia di essere esauditi: “Certissimi che Tu accetti il patto, anche per la prova di vari anni, Ti chiediamo perdono della nostra poca fede e delle nostre infedeltà, e Ti preghiamo di benedirci e di renderci fedeli e costanti fino alla morte. Amen”.
Consapevole dell’aumento dei bisogni, nel 1961 don Alberione, per sé, varia le proporzioni del patto: “che il lavoro spirituale renda il 100.000 per uno… che ogni ora di studio renda il 100 per uno… che ogni apostolato produca il 1.000 per uno… che l’utile di povertà, per la Provvidenza, renda il 100 per uno, onde moltiplicare le iniziative”.
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