Che cosa significa pregare? Perché è importante? Quali caratteristiche deve avere la preghiera per essere veramente tale? A tutte queste e ad altre domande risponde Luciano Pacomio, vescovo emerito di Mondovì e docente di Teologia biblica, nel suo libro Pregare è vivere. Edizioni San Paolo 2024.
«Pregare – afferma l’autore – è esperienza umanissima, anzi umanizzante. Ce n’è bisogno sempre. L’uomo è tale perché è corpo in cui c’è il “soffio vitale”, il respiro che attesta la vita. L’esserci della persona umana è vivere in relazione; è il vivente con gli altri e per gli altri. La preghiera, allora, non è altro che uscire da se stessi per aprirsi all’altro, agli altri, al Tu, che è anche la nostra Origine. Pregare è vivere veramente, è lasciarsi coinvolgere dal Tu (Dio-Gesù). Riconoscendoci nel limite, nella preghiera ci apriamo all’Altro, agli altri, evitando di implodere nella forza-prigionia del nostro egoismo. Ogni preghiera autentica allora sarà continua (è il nostro modo di essere e di relazionarci agli altri, all’Altro); sinergica (siamo abitati da Dio e dobbiamo fare tutto con la sua forza, in sinergia con Lui); nutrita (dobbiamo sempre fissare lo sguardo su Gesù e nutrire la nostra preghiera con la sua Parola); vissuta (ogni momento della nostra vita è preghiera)».
«Chi prega sa che Dio c’è e per Lui ciascuno/a è come fosse l’unico/a; ti vede, ti pensa, ti aiuta, ti fa crescere in tutto, ti attende».
«Tentare di scrivere sulla preghiera è ricalcare un po’ anche la nostra vita. È parlare del rapporto vitale più significativo. È riconoscere chi ci ha voluti, seguiti, guidati, accuditi, assistiti; che è per noi, in noi, con noi; chi ci sostiene, ci nutre, ci attrae».
«Durante ogni epoca i cristiani hanno tentato di giungere all’essenza, al nocciolo del cristianesimo. Ebbene, il Vangelo stesso ce lo trasmette con il Padre Nostro. È in una preghiera, e non in una dottrina o in un insieme di dogmi, che è riassunto il messaggio di Gesù. E ciò è denso di significato: pregare è l’evangelo. Buona, lieta e umana notizia fatta risuonare in una cultura che ha perso la fiducia, piena di divinità irate e di miti sfiduciati. Preghiera è relazione. Il Vangelo non si riassume in una verità, bensì in una relazione».
Ermes Ronchi, presbitero e teologo dell’Ordine dei Servi di Maria, nel suo libro Il canto del pane. Il Padre Nostro tra parole e immagini. Edizioni San Paolo 2024, offre un commento che avvince e penetra nell’animo, perché fonde sapienza biblica e afflato poetico, permettendo al lettore di gustare e di vivere come sua la “preghiera di Gesù”.
Un commento biblico, teologico e poetico al Padre Nostro, come il centro della relazione tra Dio e l’uomo credente. Un commento che porta il lettore ad appropriarsi della grande preghiera cristiana in un cammino personale. «La scuola di preghiera di Gesù non ci dice per che cosa dobbiamo pregare, ma come dobbiamo essere e vivere per poter pregare a quel modo. La scuola di preghiera di Gesù presuppone la sua scuola di vita: vivere proiettati verso l’Altro, esistere per Dio, per guarire la vita. Gesù non ci ha rivelato una preghiera, ma ha rivelato noi attraverso una preghiera. […] Il segreto del Padre Nostro è la relazione. In questa preghiera la passione per il cielo si coniuga con la passione per la terra. E la causa dell’uomo diventa la causa di Dio».
Completano il commento di Ermes Ronchi le immagini tratte dalle opere di Caravaggio, Morelli, Ferri, Bellini, Murillo, Signorelli, De Champaigne, e i mosaici del Duomo di Monreale e di Sant’Apollinare Nuovo (Ravenna).