Il Padre nostro è per noi la preghiera per eccellenza, perché è la preghiera di Gesù. Nelle parole che si susseguono possiamo ritrovare la sua spiritualità e la sua vita.
Insegnando il Padre nostro, Gesù non trasmette semplicemente una formula di preghiera, ma trasmette il suo modo di pregare, il suo modo di relazionarsi con Dio. Che è quello di un figlio con il padre: un rapporto di confidenza, di amicizia, di abbandono. E, questa sua esperienza, la vuole trasmettere ai suoi discepoli.
C’è un episodio altamente significativo: è quello della Trasfigurazione (Luca 9,28-36). Gesù è sul monte. E prega. «Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto». Questo è il risultato della preghiera.
Noi, abitualmente, quando preghiamo cerchiamo di convincere Dio di qualcosa, insistiamo perché accetti di fare quello che gli suggeriamo, perché modifichi le sue scelte. Per noi, è Dio che deve cambiare. Adeguarsi alle nostre richieste. Ma questa non era la preghiera di Gesù.
«Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto». La preghiera di Gesù comporta il cambiamento di sé, non il cambiamento di Dio. Il cambiamento di me non secondo miei criteri, ma secondo quelli di Dio. Come Gesù, mi affido alle mani al Padre.
La preghiera è mettersi nella disponibilità perché Dio ci trasformi. Quando preghiamo deve cambiare d’aspetto il nostro volto, la nostra mentalità, il nostro essere, i nostri comportamenti. Prego perché Dio agisca nella mia vita, perché mi cambi il modo di vedere le cose, il modo di sentire, il modo di rapportarmi con gli altri, il modo di reagire; perché cambi le mie preoccupazioni, le mie paure, le mie debolezze – non nella direzione che voglio io, ma in quella che vuole lui.
Il Padre nostro è l’abbandono fiducioso nelle mani del Padre, è l’atteggiamento che Gesù ha nei confronti di Dio, e trasmette a noi questo insegnamento fondamentale, decisivo. Non è la formula magica per ottenere da Dio quello che si vuole, ma è la volontà di accogliere in noi la volontà del Padre, di fare nostra la sua volontà.
Per antica tradizione il Padre nostro si prega in piedi. Non ci inginocchiamo, non ci prostriamo di fronte a Dio. Stiamo in piedi, lo guardiamo faccia a faccia perché siamo suoi figli, siamo eredi al trono, siamo “re” come lui: è il dono che Dio ci riserva. L’essere in piedi, oranti davanti a Dio, dice la dignità della persona libera, del figlio che si rapporta al Padre: per dono, perché ci è stata regalata questa possibilità.
L’altro atteggiamento è quello delle braccia aperte. Sono il gesto originario dell’uomo che invoca Dio. Denotano un’accoglienza. Nel Padre nostro, sono il segno, semplice, normale, del figlio che si affida nelle mani del proprio papà. Sono anche il segno di colui che chiede, che riconosce la propria povertà e si mostra grato di fronte al dono di Dio. Ma, soprattutto, è la preghiera di Gesù che è diventata la nostra preghiera.
[“Voi dunque pregate così: Padre nostro”, 6 – continua]
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